La guerra dei dazi tra USA e Cina sta facendo male soprattutto alle materie prime, i cui mercati da oltre un anno oscillano a seconda dell’umore del momento. Tra dazi veri e quelli soltanto minacciati, i mercati hanno finito per essere ostaggi della tensione commerciale tra le due superpotenze.
La soia vittima dei dazi
L’accentuata volatilità dei prezzi delle commodities si è fatta sentire soprattutto sul mercato della soia, dal momento che la Cina era destinataria del 60% dell’export americano di questo seme oleoso. Pechino ha dimezzato gli acquisti dagli Usa nel 2018, dirottando le proprie richieste di fornitura verso il Brasile, e adesso le sta azzerando dopo averle gravate di dazi al 25%. Dal canto suo l’amministrazione USA – ben consapevole che lì c’è un forte serbatoio di voti per Trump – ha spinto le vendite all’Europa e accelerato le spedizioni verso altre regioni dell’Asia.
La ragnatela dei dazi è diventata così la molla per cambiare la geografia degli approvvigionamenti e delle esportazioni. Ma il danno provocato dalla guerra dei dazi è stato solo in parte contenuto. Neppure gli aiuti di Stato promessi da Trump agli agricoltori (15 miliardi di dollari per comprare eccedenze e spedirle ai paesi poveri), potranno fare granché se non prolungare l’agonia. L’allarme ha fatto crollare le quotazioni dei semi ai minimi da dieci anni a Chicago (780,5 cents/bushel), con i prezzi spesso al di sotto della media mobile. Complessivamente la soia è in ribasso di oltre il 20% rispetto a un anno fa.
Scorte da record e precedenti inquietanti
E’ chiaro a tutti gli operatori che se non si risolleverà mai questo mercato, senza un accordo commerciale tra Stati Uniti e Cina. Le scorte sono giunte a 27,1 milioni di tonnellate, ovvero livelli da primato (anche per l’epidemia di febbre suina che sta decimando gli allevamenti cinesi) e non ci sono segnali sicuri o affidabili che lo scenario cambierà neppure nel medio periodo. C’è il ricordo ancora forte di quello che accadde al grano USA negli anni Ottanta. In piena guerra fredda, il presidente Carter decise di vietare l’export verso la Russia. Ci vollero decenni prima di smaltire tutte le scorte accumulate, e durante questo periodo il prezzo del cereale rimase a lungo depresso.