La pubblicità dei medicinali 2020 è argomento regolamentato dalla Direttiva europea 2001/83/CE (artt. 86-100) e, a livello nazionale, dal Codice del Medicinale (D.lgs. 219/2006, artt. 113-128). Si deve intendere come messaggio pubblicitario “qualsiasi azione di informazione, di ricerca della clientela o di esortazione, intesa a promuovere la prescrizione, la fornitura o la vendita o il consumo di medicinali” (art. 113).
Di fatto è impossibile fare la pubblicità dei medicinali al pubblico perché, nella scelta di un farmaco, il paziente non deve essere fuorviato da elementi estranei alle necessità terapeutiche e, soprattutto, la pubblicità dei medicinali non deve costituire un’alternativa alla visita medica.
Per questa ragione, soltanto i farmaci da banco (OTC) e i farmaci SOP (senza prescrizione obbligatoria), che già normalmente non richiedono un parere medico per il loro utilizzo, sono esentati dalle limitazioni più severe in materia di pubblicità, ma soltanto se non rientrano nella prassi della comunicazione scientifica agli operatori sanitari.
Per quest’ultimo tipo di comunicazione ci sono regole molto stringenti, sia sui medicinali che sui farmaci SOP: è infatti concesso all’azienda farmaceutica il patrocinio di riunioni promozionali o congressi scientifici – ai quali assistano soltanto persone autorizzate a prescrivere o fornire medicinali – così come ricorrere alle visite degli informatori sanitari presso gli studi medici.
Il messaggio è sempre e comunque soggetto a controlli e disposizioni di cessazione o divieto di divulgazione, nel caso violi le normative esistenti.
L’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco), alla quale spetta la vigilanza sulla pubblicità dei medicinali presso gli operatori sanitari (la cosiddetta informazione scientifica), si affida all’Ufficio informazione medico-scientifica (UIMS) per effettuare la sorveglianza sistemica di tutte le pubblicità mediche. I dati raccolti da questa attività di controllo sui vari messaggi già esistenti di pubblicità dei medicinali 2020 sono anche un buon indicatore statistico delle tendenze di mercato. Infatti, stando al Rapporto annuale sulla pubblicità dei medicinali dell’AIFA: mediamente le categorie di farmaci più rappresentate nelle pubblicità sono i generici, ossia medicinali che in assenza di brevetti esclusivi possono guadagnare soltanto se raggiungono alti numeri nelle vendite; i farmaci “giovani” – ovvero immessi sul mercato negli ultimi cinque anni – ricorrono più frequentemente alla pubblicità rispetto ai farmaci già noti all’utenza; le categorie farmacologiche più rappresentate sono gli antineoplastici e gli immunomodulatori, i neuromodulatori, i prodotti per i disturbi cardio-vascolari e gastro-intestinali, e gli anti-microbici; i medicinali da ricetta ripetibile sono vistosamente i più numerosi.
Si ravvisano – sempre da dati AIFA – alcuni tentativi di aggirare le regole in materia di pubblicità, sfruttando talune ambiguità della normativa. Si tratta di tentativi dettati da esigenze concorrenziali del mercato, che inducono a voler massimizzare le vendite, ma bisognerebbe ricordare che se commercialmente la pubblicità in violazione delle norme esistenti è “soltanto” un atto di concorrenza sleale, dal punto di vista etico e deontologico è un atto di informazione ingannevole, che può indurre a un’errata scelta del principio farmacologico necessario alla cura, con importanti ripercussioni sulla salute dell’utente finale. In ambito medico-scientifico una comunicazione veritiera e corretta deve sempre avere la priorità su qualsiasi altra considerazione e opportunità commerciale, poiché si tratta di un servizio i cui esiti si ripercuotono sulla sfera della salute pubblica.