“Non sarà un governo tecnico ma un governo politico”. Ovviamente tutti i governi formalmente sono politici in una democrazia rappresentativa. Nell’ambito dei beni culturali materiali o immateriali, i padri costituenti hanno adottato il preciso indirizzo di assumere, tra i compiti essenziali dello Stato, la promozione, lo sviluppo e l’elevazione culturale della collettività, nel cui quadro s’inserisce come componente primaria la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico. La problematica giuridica del bene culturale si pone, poi, in relazione alla libertà della cultura, proclamata dall’art. 33, comma 1 della Costituzione: “L’arte e la scienza sono libere e libero n’è l’insegnamento”. Ora la parola chiave è “libertà”. La libertà dell’arte e della scienza non può essere garantita dal mercato, altrimenti l’atto creativo è contaminato dalla preoccupazione di piacere al fruitore, dalla concessione agli stilemi di moda e così via e ciò confligge con l’urgenza creativa e il gesto artistico libero. Quindi ovviamente l’opera d’arte dovrebbe essere sostenuta da finanziamenti impersonali, ovvero da provvidenze provenienti da uno “Stato di diritto” non giudicante e per definizione impersonale. Ora sono consapevole che questo impianto riveste un carattere del tutto teorico, anche sul piano storico, basti pensare alle grandi opere di Giotto, Leonardo, Michelangelo, fino all’industria del cinema e dello spettacolo negli Stati Uniti, tutte opere sponsorizzate per lo più da “privati” o da sovrani assoluti. Ma c’è da considerare che senza il cinema di stato (Cinecittà, Ente cinema e Italnoleggio) non ci sarebbero opere di Fellini, Antonioni, Wenders ecc. senza l’intervento statale non si sarebbero potuti affermare Strehler, Scaparro, Ronconi, Stein ecc. Ora data la struttura eterogenea che si profila del governo Draghi, rischiano di non realizzarsi ghiotte possibilità di aumento significativo di investimenti da parte governativa e regionale in ambito culturale. Draghi uomo concreto legato alla Goldman Sachs, Calenda e Bonino, paladini delle privatizzazioni, sosterranno chi crede nel bene pubblico, nella sanità pubblica, nella istruzione pubblica? Ma ….Già la Sanità oggi è azienda, i teatri stabili si propongono come aziende, pur essendo associazioni senza scopo di lucro e senza considerare che i teatri stabili nascono con Grassi e Strehler come “servizio pubblico”. Draghi pur all’origine di formazione keynesiana passa rapidamente al pensiero monetarista di Milton Friedman e della scuola di Chicago tutta mercato, privatizzazioni e liberalizzazioni. All’orizzonte si potrebbero così addensare nubi scure di un neoliberismo spinto a compromettere maggiormente il mondo dell’arte, soprattutto nel campo della sperimentazione e della ricerca che già oggi langue. A tal proposito basti considerare che i produttori teatrali privati e pubblici per riuscire a riempire i teatri sono costretti già oggi e, ormai da tempo, a scimmiottare la televisione, portando sul palcoscenico format multimediali e attori di matrice televisiva che “sussurrano” essendo abituati all’amplificazione della ripresa digitale. Purtroppo il bene culturale non si sostiene con i soli proventi derivanti dai fruitori, la dimensione espressiva dello spettacolo dal vivo, e in particolare il teatro, ha necessità di essere affrancato dall’angustia dell’incasso, per poter realizzare quelle condizioni emozionali e sacrali che lo distinguono da qualsiasi altro mezzo significante. Ovviamente Draghi non è solo neoliberista, è personaggio colto e complesso quindi potrebbe riservare slanci innovativi imprevedibili anche sul piano della cultura e dell’arte. Di Toni Andreetta